Il chitarrista classico che segue i programmi d’esame di conservatorio che impara le scale in un solo modo, sviluppandole per la loro massima estensione possibile, usando una sola diteggiatura per ogni scala. Sicuramente il chitarrista classico impara a conoscere esattamente le note che ogni scala contiene, così come le alterazioni proprie di ogni tonalità. Tuttavia egli impara esclusivamente le scale maggiori e minori (melodiche ascendendo e naturali discendendo). Almeno questo è quello che il programma d’esame richiede. Raramente l’insegnante indirizza l’allievo verso lo studio di altre scale (pentatoniche, esatonali, diminuite, modali… ) e questo anche a causa del fatto che l’improvvisazione purtroppo non è materia d’esame nei conservatori. Inoltre non vengono nemmeno esplorate le possibili diteggiature delle scale che si possono ottenere sostanzialmente in qualsiasi punto della chitarra.
Vi è poi il modo, sempre per così dire, del chitarrista non classico. Questi apprende le scale attraverso l'apprendimento dei classici“box”che indicano le diteggiature in posizione fissa (cioè senza spostamento orizzontale lungo il manico) e queste posizioni vengono poi spostate per ottenere le scale in tutte le tonalità desiderate. Spesso chi si cimenta nei box non apprende le note che compongono ogni scala perché per cambiare tonalità è appunto sufficiente spostare ogni “box” nel punto giusto (suonare diventa per molti un puro gesto meccanico). Però questo chitarrista impara
più scale… Pentatoniche maggiori e minori, scale blues, scale maggiori (e quindi minori naturali), scale modali (del modo maggiore). Se poi il chitarrista persevera è probabile che apprenda anche le minori armoniche e melodiche, le diminuite e le esatonali etc etc etc. Le modali del modo minore (dei modi minori) arrivano molto dopo.
E’ evidente che l’ideale dovrebbe essere un sistema di studio delle scale che combina i pregi dei due metodi sopra descritti. C'e' una cosa che li accomuna: il chitarrista classico ed il chitarrista elettrico studiano (pazientemente) le scale suonandole dalla prima nota all’ultima, e quindi tornano indietro. E, se studiano seriamente, fanno questo esercizio di “corso” e “ricorso”per molte ore la settimana. Apparentemente non c’è niente di male in questo… le scale sono fatte così (lo si
intuisce già dal nome… sono appunto scale… quindi prima si sale e poi si scende).
Primo: non si consolida una reale conoscenza delle scale. Se si chiede ad un certo punto ad un
chitarrista di eseguire una scala saltando, per esempio, una nota ogni due questi si perde e quella
stessa scala diventa di colpo un gran casino :). Come dire… si riesce ad eseguire la scala fin quando
le note sono mantenute nelle loro sequenza.
Secondo: si intoduce un importante elemento di anti-musicalità. Non appena il chitarrologo esperto comincia ad apprendere le relazioni esistenti tra scale ed accordi (o sequenze di accordi), questi evidentemente utilizza le scale studiate come materiale di base su cui costruire le proprie improvvisazioni (poiché contengono le note “giuste”, e quindi rappresentano un terreno “sicuro” su cui muoversi). Purtroppo questi scopre presto che il suo fraseggio è oggettivamente brutto, e lo è perché è eccessivamente legato alla sequenza meccanica delle note nella scala, sequenza che ormai è entrata nelle sue dita e nella sua testa, sequenza da cui risulta difficile staccarsi dopo molte ore di studio.
Un approccio alternativo
Perché le scale ci aiutino davvero nella costruzione dei nostri fraseggi è necessario introdurre dellemetodologie di studio alternative che affrontino le scale sotto una luce nuova, valorizzando gli elementi musicali che queste contengono e studiandole quindi in un modo che sia molto più simile e molto più vicino al reale uso che di queste si fa nella normale improvvisazione. Questo tipo di approccio ha anche un secondo vantaggio, e cioè che rafforza la nostra conoscenza delle scale e conseguentemente ci rende più sicuri nel ricercare e nel trovare le note che desideriamo sulla tastiera.
Dopo tutti questi discorsi, è arrivato quindi il momento di fare degli esempi concreti che illustrero' nei prossimi post. Quello che si propone qui è uno studio delle scale secondo pattern che non prevedono un’esecuzione sequenziale delle note di una scala, utilizzando in sostituzione altre “sequenze” che sono per natura più simili ai fraseggi che ritroviamo nei soli “veri”.
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